
Organizziamolo a Reggio Calabria per farne un ponte virtuale e concreto fra tutti coloro che considerano – in Sicilia, in Calabria, altrove – la lotta alle mafie una questione di civiltà e di democrazia, non solo di tribunali. Organizziamolo subito, prima che l’eco di quella bomba contro la Procura Generale di Reggio si smarrisca. Organizziamolo per far sentire la voce di questo paese a chi ritiene che si sia riaperto il tempo delle trattative, delle mediazioni, dei mercanteggiamenti. E che tutto possa essere acquistato o svenduto: anche la decenza delle leggi, anche la memoria degli ammazzati.
Va letta, e meditata, l’intervista rilasciata ieri dal procuratore capo di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, uno che di mafia ne mastica, dopo venticinque anni trascorsi nella Procura di Palermo. Vogliono trattare con lo Stato, dice Pignatone. Come fecero i corleonesi nel 1992 attraverso i buoni uffici di Vito Ciancimino. Come faceva il cartel di Medellin, vivo Pablo Escobar, tirando giù gli aerei a colpi di dinamite. Vogliono trattare perché sono deboli, spiega Pignatone, e ha ragione: molti arresti, molte condanne, molte confische. Io aggiungo: vogliono trattare perché deboli siamo anche noi. E perfino un’organizzazione austera, quasi autarchica come la ‘ndrangheta, capisce che alzando il livello dello scontro forse qualcosa di buono se ne potrà ricavare.
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COMMENTO di F. Moretti
Claudio nel proporre una manifestazione contro tutte le mafie proprio a Reggio Calabria immagina una risposta coraggiosa della società civile che non può restare inascoltata, a maggior ragione proprio per l’evidente sintonia tra gli interessi delle cosche e quelle della destra al governo e nel Parlamento.
Nel suo articolo è spiegata in modo chiarissimo la tecnica delle minacce mafiose per intimidire il governo o addirittura pilotate dallo stesso per giustificare quei provvedimenti che la mafia aspetta a ricompensa del proprio appoggio.
Per questo c’è un nesso decisivo tra la manifestazione del NO-B-DAY del 5 dicembre u.s. e la proposta di Claudio, lanciata subito dopo quella grande partecipazione di popolo, indirizzata non solo contro un unico uomo ma contro un sistema di impunità politica che è la diretta responsabile dell’impunità mafiosa, che quell’uomo oggi rappresenta in modo tanto arrogante quanto esplicito.
L’individuazione di una responsabilità personale, seguito da un puntuale quanto sospetto attentato contro di lui – anche questo nell’ottica delle minacce mirate? Forse un giorno lo sapremo – ha dato modo a quest’uomo, detentore del controllo quasi totale dei mass media, di indossare i panni della vittima e, quindi, in sostanza di annullare l’effetto trainante di quell’enorme corteo di dissenso e quindi di rallentare anche l’esigenza della proposta di Claudio.
E’ evidente che i fatti degli ultimi giorni tanto bene descritti nell’articolo di Claudio, tra i quali non va dimenticata l’arrogante dimostrazione di capacità di pilotaggio di quel sentimento di odio verso gli immigrati, tanto caro al Governo, ostentata dai capibastone della ‘ndrangheta calabrese, attraverso la quale hanno colto anche l’obiettivo di fare un favore alla Lega, permettendo al Ministro dell’Interno, il super leghista Maroni, di fare sfoggio di tolleranza zero verso gli immigrati cacciandoli da Rosarno e probabilmente anche dall’Italia. Alla faccia della Lega, ultimo baluardo del Nord operoso contro il Sud mafioso.
Il messaggio è chiaro, chi si ribella ad una condizione di sottomissione è punito o direttamente dalla Mafia o dal Governo e questo vale anche per quelle associazioni che con tanto coraggio hanno rilevato i beni della mafia per farne delle cooperative di attività produttive legali e che usano quegli spazi per diffondere un messaggio di speranza ai giovani fatto di lavoro e dignità umana, contro chi predica la scorciatoia del guadagno facile di attività criminali.
Così dovremo essere proprio tanti, tanti che Reggio Calabria e l’intero Meridione non potrà non vederci, non vedere che esiste un popolo del NO-MAFIA-DAY che non si lascia abbindolare dai trucchetti, che ha capito benissimo la posta in gioco.
Ma per ridare una speranza e aiutare al risveglio civico il popolo del Meridione non basterà una manifestazione, per quanto bella, grande e forte essa sia, accanto a questa dovremmo proporre e praticare lotte concrete che durino nel tempo.
Penso, ad esempio, che dovremmo iniziare una campagna di occupazione dei beni sottratti alla mafia, che le nostre bandiere – come durante le occupazioni delle terre sventolavano sulle proprietà dei latifondisti e su Portella della Ginestra – dovrebbero sventolare, insieme a quelle delle cooperative del lavoro onesto, su quelle proprietà illecite, che un governo e un parlamento collusi, si apprestano attraverso la finanziaria del 2010 a restituire alle associazioni criminali.
Dovremo imparare a costruire le nuove legalità di chi si batte per la giustizia contro l’ingiustizia del lavoro negato e della vita sottratta a chi rivendica diritti civili e sociali.
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